Come modificare un insieme

Quando sono arrivata in Italia nel 1969 ero a digiuno di qualsiasi nozione di teoria letteraria o di metodologia della critica, cose di cui si occupavano i critici ‘continentali’. In qualche modo sono riuscita a rimanere in questo stato di ignoranza finché, nel 1986, sono arrivata all’Università di Pisa, dove ho incontrato Elsa Linguanti, docente formidabile che mi ha insegnato quanto la retorica possa essere utile per comprendere la struttura di una poesia, un romanzo, un’opera teatrale, il loro rapporto con la tradizione e il motivo per cui esercitano un determinato effetto su un particolare lettore o pubblico. Ad Elsa importava poco quella parte della retorica che riguarda le figure di parole, l’elocutio, mentre importava molto l’inventio, la memoria collettiva alla quale qualsiasi scrittore attinge per scegliere i temi, personaggi, ambientazioni che gli servono; ma il suo punto di partenza era sempre la dispositio di un’opera: la sua struttura, le sue parti e l’ordine i cui sono disposti nelle struttura di un insieme.

E con questo arriviamo al tema del nostro concerto (quello di Samuele Telari del 14 dicembre 2024). Nel capitolo sulla dispositio del manuale di retorica preferito di Elsa, quello di Heinrich Lausberg (1949), è spiegato come un insieme circolare — per esempio, la coscienza di un individuo in un determinato momento– può essere trasposto in un insieme lineare che ha una direzione nel tempo, come un testo o un discorso; e viceversa come, dopo aver letto un testo o ascoltato un discorso, la coscienza del lettore/ascoltatore può risultare modificata. Lausberg spiega inoltre che un insieme lineare può essere mutato in quattro modi:

  1. Per adiectio, aggiungendo uno o più elementi nuovi (suoni, parole, idee) o aumentando il grado di intensità;
  2. Per detractio, omettendo una parte finora appartenente all’insieme, o indebolendo il grado di intensità;
  3. Per transmutatio, cambiando di posizione una o più parti;
  4. Per immutatio, sostituendo uno o più parti con qualcosa finora estranea.

Nel suo blog sull’arte della trascrizione, Sabrina illustra con eleganza come anche i brani musicali possano essere mutati attraverso queste stesse operazioni. In una fuga di Bach trascritta per chitarra il timbro è sostituito, ma la struttura contrappuntistica e l’intensità restano immutate. Nel trascrivere i Quadri di un’esposizione di Mussorgsky, Ravel aggiunse ‘una sinfonia di colori orchestrali’, ma nello stesso tempo rivelò aspetti nascosti nell’originale. Trascrivere un brano orchestrale per un singolo strumento, come il pianoforte, evidentemente comporta molteplici operazioni di detractio e immutatio, ma così la struttura armonica e linee melodiche emergano con maggiore nitidezza e intensità. L’uso della fisarmonica per interpretare musica ‘classica’ implica audaci sostituzioni di timbro e di sfumature ritmiche, ma l’aggiunta di ‘un respiro fisico, una dimensione timbrica che può rivelare sfumature inediti.’

Seguendo Lausberg, ho elencate le modalità di mutare un’opera come se fossero operazioni semplici e meccaniche, ma Sabrina ci dimostra che sono tutt’altro. Sono i mezzi artistici attraverso i quali un compositore e o un interprete entra in dialogo con l’opera, approfondisce la sua conoscenza e celebra la sua universalità, regalandole nuova vita ‘oltre i confini per cui è nata’. Si capisce bene come l’insieme che ne risulta può mutare anche la coscienza dell’individuo che ascolta, aprendo in noi nuove prospettive su musiche considerate – a torto—già note, compiute e quindi morte.

Jeanne Clegg

L’Arte della Trascrizione: Tradire o Esaltare il Compositore?

Quanto può un’opera musicale cambiare senza perdere la sua anima? La trascrizione musicale ci invita a esplorare i confini dell’interpretazione: è un atto creativo che arricchisce il significato originale o rischia di tradirlo? Ogni compositore scrive con un’immagine sonora ben precisa in mente. Gli strumenti scelti sono il mezzo attraverso cui trasmette il suo messaggio musicale. Quando si trascrive per un organico diverso, il rischio di allontanarsi dall’intento originale è reale. Eppure, le grandi opere sembrano avere un potenziale intrinseco che supera i limiti dello strumento per cui sono state concepite. Una fuga di Bach, per esempio, trascritta per chitarra o quartetto d’archi, rimane riconoscibilmente “Bachiana”: la struttura contrappuntistica e l’intensità del discorso musicale sopravvivono al cambio di timbro.

Per molti artisti, trascrivere o eseguire trascrizioni non è solo un modo per adattare brani al proprio organico, ma un’opportunità per esplorare in profondità la musica. Questo processo di riscrittura diventa un dialogo intimo con l’opera. Quando Ravel orchestrò i Quadri di un’esposizione di Mussorgsky, non si limitò a tradurre il brano: lo trasformò in una sinfonia di colori orchestrali, rivelando aspetti nascosti nell’originale.

Anche la pratica inversa – trascrivere un’opera orchestrale per un organico più ridotto – offre una nuova prospettiva. Cambiare strumento obbliga a ripensare ogni dettaglio: le frasi, i respiri, le dinamiche. Trascrivere per esempio un brano per pianoforte svela la filigrana della composizione: la struttura armonica e la forza delle linee melodiche emergono con una nitidezza che nella densità orchestrale potrebbe sfuggire.

Un esempio che illustra bene il potenziale e le sfide della trascrizione è l’uso della fisarmonica, uno strumento spesso associato al repertorio popolare. Quando un interprete come Samuele Telari suona i Preludi e Fughe di Shostakovich o trascrive Lo Schiaccianoci di Čajkovskij, cambia inevitabilmente il timbro e le sfumature ritmiche rispetto all’originale. Eppure, questo cambiamento non rappresenta una perdita, ma una scoperta. La fisarmonica aggiunge un respiro fisico, una dimensione timbrica unica che può rivelare sfumature inedite del brano.

Forse il punto non è se la trascrizione snaturi l’opera, ma cosa ci dica sul brano stesso. La trascrizione costringe interpreti e ascoltatori a interrogarsi su cosa renda un’opera unica. Ogni trascrizione diventa un esperimento, un laboratorio in cui si mette alla prova l’essenza stessa della musica. In definitiva, trascrivere non è mai un atto neutro. Per un compositore o un interprete, rappresenta un modo per dialogare con un’opera, approfondirne la conoscenza e, talvolta, celebrarne l’universalità. È come osservare un grande quadro sotto luci diverse o in stagioni differenti: ogni nuova prospettiva aggiunge un tassello al mosaico di significati.

Ogni trascrizione ci ricorda che la musica è un linguaggio vivo, capace di trasformarsi e rimanere sé stesso. Forse non c’è atto più universale che reinterpretare un’opera per portarla oltre i confini per cui è nata.

Sabrina