La speranza di un ricordo e il ricordo della speranza. In memoria di Claudio Abbado

“La musica è necessaria alla vita,  può cambiarla, migliorarla. E in alcuni casi può addirittura salvarla”. Claudio Abbado

“È stato un genio  con grande rigore umano e sociale ; un genio della musica ma anche un sovrano. Tutto in lui era regale  e allo stesso tempo umanissimo”. Mario Martone

Quel pomeriggio, a Fiesole, arrivò – col maestro Farulli, alcuni colleghi e coi rappresentanti della Scuola –  all’“Auditorium Sinopoli”, che ospitava le prove dell’orchestra al completo. Eravamo tutti lì. Lo aspettavamo, tesissimi. Mi posizionai, con altri ragazzi, lungo il perimetro della sala, in un punto che mi permettesse di non perdere nemmeno un dettaglio. A un certo punto, in distanza, lo vidi. Arrivava dalla salita che collegava l’edificio principale della Scuola all’Auditorium : una semplice camicia azzurra, dei pantaloni neri, sorridente. Col suo garbo regale e la delicatezza della sua modestia, salutava, col capo, tutti quelli che incrociava sul suo percorso. Entrato, silenziosamente, ci salutò. Sistemato il leggio, attaccò Brahms.

Arrivò il giugno del 2002 : lo stage più intenso, l’ultimo in preparazione dei concerti che avremmo fatto ad Aosta nel mese di luglio, a chiusura del primo anno di corso.  Conclue le lezioni individuali e di musica da camera, mancava da perfezionare il repertorio sinfonico : l’orchestra rimaneva ancora qualche giorno per provare la terza sinfonia di Brahms, ma i pianisti (eravamo quattro) potevano considerarsi “liberi” dall’essere presenti, in quanto non vi erano tastiere in organico.  Decisi, però, di rimanere, perché quel pomeriggio, il 22 giugno, alla “Scuola di Musica di Fiesole” sarebbe arrivato il maestro Claudio Abbado.  Vederlo dirigere e interagire “dal vivo” sarebbe stata una grandissima opportunità per chi, come me, aveva appena cominciato a fare esperienza d’orchestra e delle dinamiche varie e delicate che vi si realizzano. Avevo avuto modo di seguire il Maestro in tante occasioni ed erano passati solo pochi mesi dalla prima grande prova che aveva dovuto affrontare contro il cancro, che, più forte e determinato che mai, era venuto a Roma, nel febbraio del 2001, all’Auditorium di via della Conciliazione, antica sede dell’“Accademia di Santa Cecilia”.  Tutto Beethoven, coi Berliner : la seconda, la quinta e, col suo amico di sempre, Maurizio Pollini, l’“Imperatore” !  Riuscii ad assistere alla prova generale.  Ciò che mi rimase, di quella esperienza, fu la sua capacità di avere un “contatto” costante non solo con l’orchestra nel suo insieme, ma con ogni singolo elemento di essa. Era incredibile : dirigeva a memoria e con occhi vivi e attenti cercava gli occhi dei muscisti ; il suo sopracciglio dava il via alla sezione dei violoncelli ; arretrava col busto, per meglio ascoltare il solista; sorrideva spesso muovendo le braccia non per “dare il tempo”, semplicemente, ma per seguire e finire di costruire la linea musicale.  Questo modo straordinario, unico di dirigere mi aveva colpito, certo, ma credevo fosse una condizione legata all’eccezionalità dei Berliner, al loro essere un’orchestra favolosa.  Mi sbagliavo.  Quel pomeriggio, dopo essere entrato silenziosamente nell’Auditorium e averci salutato con informalità, volle mettere a proprio agio l’orchestra, incoraggiandola a suonare ascoltandosi l’un l’altro ; chiese di fare e rifare alcuni passaggi in cui la linea musicale passava da una sezione all’altra ; la dimensione in fieri che riusciva a farne scaturire era, più che quella tipica di un’orchestra, quella propria di un ensemble di musica da camera, in cui, per suonare insieme – diceva – si doveva ascoltare e partecipare della parte dell’altro.  Si complimentò più volte per la resa che l’orchestra era riuscita ad avere.  Poi chiese di suonare… “per la gioia di farlo insieme” : questo semplice, semplicissimo invito, scatenò, nell’atmosfera sospesa dell’Auditorium, un’atmosfera al contempo mistica e semplice, delle risonanze inaudite in ognuno di noi. La “gioia del suonare insieme”.  Mai avevo avuto modo di riflettere sulla portata artistica e umana di tale espressione. E, come me, tanti altri, come avrei appreso dopo, commentando quel pomeriggio indimenticabile.  Così, quella sera, grazie al maestro Abbado, non solo in me, ma in molti altri colleghi e amici presenti… qualcosa si accese oltre l’entusiasmo, oltre la fatica, oltre la concentrazione, oltre “sé”.  Ci svegliammo alla consapevolezza, all’appartenenza, all’idea di un “insieme” non solo tecnico e pratico, ma anche “ideale” : “la gioia” – una gioia che rimanda ad un ambito emozionale ed esistenziale potentissimo e luminoso, che permette di arrivare ad alti livelli di energia, potenza e condivisione – era associata ormai al “suonare” e al farlo… “insieme” ! Scoprivamo così, grazie a una frase pronunciata, con modestia regale, da un maestro carismatico in un’atmosfera incredibile, che eravamo protagonisti di un qualcosa che andava ben al di là di una buona esecuzione : era l’incontro, la fusione, quasi, tra più di cento ragazzi, alcuni provenienti anche da altri paesi europei, tutte personalità distinte e complesse che, nella dimensione collettiva e di gruppo, capace di arricchire, migliorare, stimolare, educare, mettere alla prova… dovevano confrontarsi.  In quest’ottica, tutto ciò cui eravamo stati abituati cambiava di segno : ciascuno, nell’individualità della propria esistenza, seppure a volte “accusando” il confronto, comprese la sana e naturale competizione, l’ulteriore motivo di stimolo e ricchezza che essa poteva rappresentare. La “realtà” di gruppo rimaneva formalmente la stessa, sempre da attualizzare, nei diversi brani e formazioni che dinamicamente ci venivano assegnati nelle piccole ensembles e in orchestra : ma era adesso più chiaro che ciascuno di noi era intento a contribuire a un disegno di armonie condivise, in cui riconoscersi e ritrovarsi come gruppo, con un suono e una personalità.  Elemento essenziale era l’ascolto, il primo passo per poter imparare a suonare con : condizione di apertura e disponibilità che permetteva e inverava il dialogo. Questo, in poche ore, ci aveva dato il Maestro : la capacità di imparare a vedere l’altro nella misura in cui riuscivamo ad ascoltarlo ; di cogliere il perché e la necessità dell’alterità, rappresentando per l’altro quello che l’altro rappresentava per noi.  Ѐ, questo, forse il più grande insegnamento che il Maestro ha dato a chi, giovane musicista come me, ha avuto la fortuna di esserne anche solo sfiorato. Un insegnamento che ha cercato, a ben vedere, di dare a tutti, nell’infinita ed estenuante ricerca e impegno a costruire e ad insegnare il perché della musica, i cui principi di dialogo e fedeltà erano di essa così come del Vivere. La lezione finì con un intervento del maestro Farulli. Parlò della drammatica condizione finanziaria che l’“Orchestra Giovanile Italiana” avrebbe vissuto da lì a pochi mesi : la Regione Toscana avrebbe dato la metà dei finanziamenti di cui l’Orchestra aveva goduto fino a quel momento. L’anno seguente, infatti, il moi secondo anno di corso, non vennero indette audizioni per tutti gli strumenti : restammo sessanta ragazzi circa.  Il maestro Abbado, amareggiato dalla notizia, disse che avrebbe fatto di tutto perché quella realtà, la realtà che offriva la “Scuola di Musica di Fiesole”, continuasse.  In effetti, da uomo di parola qual era, non mancò di sostenere la causa in varie occasioni pubbliche. E, grazie alla sua sensibilità capace di non dimenticare, più di dieci anni dopo quella promessa, nominato Senatore a vita, nell’agosto del 2013, devolse lo stipendio da Senatore proprio alla “Scuola di Musica di Fiesole”, come centro propulsore “di iniziative e progetti di grande respiro musicale e culturale”.

Fondatore della “Gustav Mahler Jugendorchester”, e, nel 2004 dell’“Orchestra Mozart”, promotore infaticabile della musica “come patrimonio di tutti e da consegnare a tutti”, combattente per l’assoluta democratizzazione della cultura e sostenitore dell’apertura al pubblico delle prove generali presso università, scuole e diverse istituzioni, il maestro Abbado incontrò, un giorno, le speranze e i principi di José Antonio Abreu, fondatore de “El Sistema”. Innamoratosi del nuovo progetto didattico venezuelano, non lo avrebbe più dimenticato : se ne fece promotore in Italia dal 2006, incoraggiandone la diffusione e scegliendo, come assistenti, studenti formatisi nel sistema venezuelano stesso, come Diego Matheuz. Come era ben capace di fare, accettò, anche in quell’occasione, il rischio di scommettere sulle nuove generazioni ; conosce, si incanta e si commuove davanti il coro delle “Manos Blancas”. Qualche anno dopo, dopo ulteriori e gravissimi problemi di salute, nell’ambito delle attività dell’“Orchestra Mozart”, diede il via a due grandi progetti tentando di realizzare, ancora una volta, l’incontro tra musica e impegno sociale, nella possibilità di sostegno, riabilitazione e recupero che la musica invera : col “Progetto Tamino” e il “Progetto Papageno”.  Il maestro Abbado, benché, a quanto pare, convintamente laico, era un uomo di profondo, equilibrato, straordinario misticismo. Rimaneva in silenzio per decine di secondi dopo l’ultima nota di ogni concerto, in pause che, alla fine, divennero lunghissime : come se ascoltasse quello che del suono rimaneva nella sala, cercando di percepire fino all’ultimo armonico ; come se respirasse l’immobilità dei musicisti, e ripercorresse, con loro, tutto il “viaggio” appena concluso. Come se, a modo suo, pregasse.

Il pubblico, che aveva imparato a conoscere questo tratto del Maestro, ormai fragile, sottile, quasi trasparente, lo “aspettava” devotamente : sapeva che quel momento di silenzio era un momento di sacrale riflessione personale, di totale immersione di sé in sé, di chi voleva restare in contatto con la parte più profonda del suo animo. Così, di questa attesa e sospensione, lo stesso pubblico si faceva co-protagonista. Sensibile al “nuovo”, Abbado amava innovare, sia nei repertori che nelle modalità di esecuzione : proponeva programmazioni in cui fossero presenti autori poco suonati (in Italia) come Berg, Schönberg, Stockhausen e Hindemith. “Stravolgeva” talvolta, con coraggio meticoloso, alcuni “Adagi”, “tirati” al massimo della tensione e della sospensione, arrivando quasi a raddoppiarne la durata.  Sperimentava continuamente, volendo realizzare sonorità “di altri mondi”, raggiungendo divaricazioni fino al limite del silenzio : emozioni estetiche ed esistenziali indimenticabili furono sono e saranno quelle del “suo” Mahler, autore amatissimo dal Maestro e, forse, più di altri, motivo di riflessione sul senso dell’uomo e del suo perché nel cosmo. Affermò, infatti, che era “impossibile dirigerlo senza pensare alla morte”, lo stesso autore che tanto dà suono e voce ai tumulti della vita !  La complessità regna sovrana in una ricerca costante del senso, a conferma di ciò in cui si crede, sempre pronti e disposti, grazie ad una giovane curiosità pulsante, a sperimentare e a spingersi sempre oltre. Questo tendere oltre, questo guardare con finalità altre al fare-musica, ha fatto dell’uomo Claudio Abbado il “moi” maestro : un musicista dentro la realtà, un direttore a contatto con le dinamiche della vita, un uomo innamorato della vita. E per questo lo ringrazio.

Michela Chiara

 

Extrait da Rivistra Trimestrale l’Albatros 2-2014

2 pensieri riguardo “La speranza di un ricordo e il ricordo della speranza. In memoria di Claudio Abbado

  1. Grazie Michela Chiara! Ho imparato tantissimo da questo articolo – perfino da una prima, veloce lettura. Rileggendo più lentamente so che capirò di più sulla gioia di fare (e ascoltare) musica insieme, gioia che dal vivo ci trasmettono con ogni concerto DuoKeira e gli artisti, amici loro, che con tanta generosità vengono a suonare per noi.

  2. Grazie per questo bellissimo articolo!

    Mi conferma quanto niente separa la Bellezza dalle mille pieghe dell’Umana esistenza, con tutte le sue forme proprio come il ciclo della natura; la differenza la fà il coraggio di stare, un desiderio da realizzare, un forte spirito di ricerca.

    Grazie mille per la condivisione!
    Siamo davvero fortunati!

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